lunedì 14 settembre 2009

COSTANZA - SONIC DIARY

...ed oggi, cari lettori, voglio segnalarvi l'ultima macchia electro-music degna di essere stampata tra i video-chip parassiti di Vision... sto parlando di Costanza e del suo primo album "Sonic Diary"...

Costanza Francavilla, cantautrice, cantante e chitarrista romana, inizia la sua carriera musicale con gli Ethnia, da lei stessa fondati, e prosegue come solista verso l’elettronica trip-hop. Agli inizi del 2000, una delle prime registrazioni di Costanza (che nel frattempo si è spostata a Londra) capita nelle mani di Tricky; il gotha del trip-hop ne resta talmente impressionato che decide di impiegarla nel suo album del 2003, “Vulnerable”. Così lanciata, Costanza pubblica il suo primo Ep, “Zerokilled”, da lei interamente composto, suonato e prodotto, e si fa conoscere in sede live tramite svariate partecipazioni a festival in tutta Europa (nonché con il suo personale apporto a colonne sonore per serie TV di successo). Nel primo album su lunga distanza, “Sonic Diary”, di nuovo prodotto sotto la sua egida (ma sotto la sigla Zerokilled, comprensiva di collaboratori rodati), la cantante ha modo di esprimersi in lungo e in largo in una sorta di “concept di bordo” sulle esperienze fin qui raccolte.
Al lato musicale, l’autrice mostra di prediligere ambientazioni rarefatte in uno stile prossimo a quello di Emiliana Torrini. La triade iniziale imposta uno schema piuttosto comune, tanto r’n’b notturno (“Just Another Alien”) quanto downtempo stratificato (“I've Been Waiting For You”), o Ebm digitale-atmosferico impreziosito da tocchi che imitano un theremin (“I Am Ready”). La versione strumentale di “Babilon Dream” accorpa una chitarra gotica in loop e palpiti dissonanti al limite della new age, ma è soprattutto in “50 Bullets Fired In Queens”, con canto raga riverberato circondato da armonie fantasmagoriche e ritmo jungle caotico, che i canoni si fanno da parte ed emerge la personalità.
Allo stesso modo, “Promises” e “In The Sun” - le tracce più deboli - mostrano elementi stilistici ben più veniali, dalle citazioni etniche agli arrangiamenti per semplice bordone d’archi. Il contrasto tra livelli sonori di produzione (solfeggio minimale-ambientale, vagiti robotici Kraftwerk-iani, vocalizzi d’avanguardia) funziona di più in “Where Have You Been” e nella più incalzante “Back Into My Mother's Womb”, contesa tra dark-wave e dream-pop d’altri tempi, il cui intermezzo sospensivo supera di quel tanto il clichè del revival. “God's Gonna Cut You Down”, forse il momento più coraggioso, crea una specie di ponte di comunicazione tra l’electroclash, il pop vitalistico di Belinda Carlisle e i Pizzicato Five più stilosi, mentre “Burqa” apre su un tintinnio che lancia un cupo battito dub in bassa definizione adornato da trilli ermetici del piano, laddove il canto (pure in falsetto) si fa anche più anemico. Nel neo-soul di “Medicine” compare la chitarra (non campionata), il suo strumento, in chiave minore.
Dopo aver toccato il suo punto più basso con la noiosa cover de “I tuoi occhi sono pieni di sale” di Rino Gaetano, Costanza supera di gran lunga tutto quanto realizzato fino ad ora con “Coming Home” (l’extra di chiusa), una suite cinematica di 13 minuti fulgida d’ispirazione. Dopo un gorgoglio cacofonico in loop, appaiono rintocchi analogici nel silenzio più assoluto; dal nulla emerge un rhodes dissonante che intona una melodia appesa, cui si affianca un contrappunto liturgico. Il tutto è interrotto da un ticchettio enigmatico che presto muta in dub fumosa e, a sua volta, in psicotica techno alla Underworld. Da qui inizia un crescendo di selvaggi suoni cacofonici che degenera di secondo in secondo; repentino è poi il ritorno al primo tema, con sospensioni elettroniche e voce di sirena, ma un altro strato di dissonanze ispira nuovi colpi violenti di drum machine su di una suspense misteriosa. Il finale espone ancora un trip-hop eretico fatto di campioni, tagli e inondazioni drone, e finalmente rilascia l’intenso canto di Costanza a dominare maree di timbri elettronici.
Il mood prettamente scarno e gli arrangiamenti spesso timorosi non rendono molto il senso del disegno globale; anche se ogni brano reca un sottotitolo programmatico (“To My Love”, “To Our Star”, “To The Kids”, e così via), discutibili, e non davvero compositi, sono gli sbalzi di contesto. Piuttosto le plurime ambizioni contribuiscono a farla mordace: letterarie, cantautoriali, pittoriche, perfino civili (mai indignate, né esacerbate) e colte. “I tuoi occhi sono pieni di sale” è a cura di Riccardo Sinigallia; anche “Promises” è una cover (Fugazi). “Babilon Dream” era in origine un duetto con lo stesso Tricky. “Coming Home” fa parte della colonna sonora di “While She Was Out”, della scozzese Susan Montford, con Kim Basinger come protagonista.

di Michele Saran

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