La nona pausa del lungo viaggio alla scoperta dell'animazione [vedi qui] riguarda gli immortali "Joy Division".
La storia dei Joy Division inizia come quella di decine e decine di altri gruppi nati in Inghilterra a cavallo dell'esplosione del punk. Inizia con tre ragazzi che mettono su un gruppo quasi senza nemmeno saper suonare. Terminerà lontanissimo da queste premesse, nel giro di neanche quattro anni. Terminerà nella leggenda, dunque tragicamente. Ma andiamo con ordine.
È il 9 dicembre del 1976 quando all'Electric Circus di Manchester tre ventenni - tutti originari della stessa città, conosciutisi sui banchi della Salford Grammar School - debuttano con la band da loro formata pochi mesi prima, gli Stiff Kittens. Sono Bernard Dicken (all'anagrafe Bernard Sumner, chitarra e voce), Peter Hook (basso e voce) e Terry Mason (batteria e voce).
La molla che spinse i tre ragazzi a formare una band fu, ovviamente, un concerto dei Sex Pistols alla Lesser Free Trade Hall di Manchester - insieme ai Buzzcocks, leggenda della scena punk macuniana - il 20 luglio del 1976. Ad assistere allo stesso evento quella sera c'è anche un altro ventenne, che già da qualche tempo i tre hanno avuto modo di conoscere: Ian Kevin Curtis, nativo di Macclesfield, che fin da giovanissimo vive per due passioni: scrivere poesie e ascoltare musica rock (fan appassionato di Iggy Pop, David Bowie, Velvet Underground).
Stroncati dal magazine "Sound" all'indomani della loro esibizione all'Electric Circus, i tre Stiff Kittens vengono contattati da Curtis, che nei primi mesi del '77 entra a far parte del gruppo. Lui stesso da tempo cercava di mettere su una band, sulle orme degli amici Buzzcocks (il cui manager era lo stesso dei Kittens).
L'occasione di tornare sul palco capita il 27 maggio del 1977, sempre all'Electric Circus, stavolta come spalla proprio ai Buzzcocks. In quell'occasione il gruppo, senza Mason (che resta però in qualità di manager) e con Tony Tabac alla batteria, cambia nome in Warsaw (in omaggio a Bowie e al suo capolavoro "Warszawa", contenuto nell'album "Low"). Ancora una volta le critiche sono negative, ma è in seguito a quel concerto che i futuri Joy Division entrano in contatto con il principale animatore della scena musicale di Manchester in quegli anni, Martin Hannett (che in quel periodo ha appena prodotto l'Ep di debutto dei Buzzcocks), l'uomo che li aiuterà a diventare leggenda.
Rimpiazzato ben presto il batterista "provvisorio" Tabac con il ben più esperto Steven Brotherdale (batterista anche di un'altra punk-band cittadina, i Panik), i Warsaw entrano per la prima volta in studio nel luglio del 1977 per registrare i primi demo di brani come "The Drawback", "Warsaw" e "Leaders of Men" (questi ultimi due autentici classici della scena punk di Manchester). Demo che resteranno però tali, dato che rimarranno a lungo inediti. Appena dopo queste session, il batterista Steven Brotherdale lascia il gruppo (cercando per di più di convincere Ian Curtis a seguirlo nei Panik). Sembra l'ennesimo inconveniente che tarpa le ali al gruppo, e invece si rivela un vero colpo di fortuna quando al suo posto entra Stephen Morris, come Ian originario di Macclesfield, e la band trova finalmente l'alchimia che cercava, le cose iniziano a girare con naturalezza per il verso giusto. Nell'ottobre del '77 i Warsaw appaiono per la prima volta su disco con il brano "At A Later Date", registrato per una compilation in "memoria" dello storico locale Electric Circus, prossimo alla chiusura, e a dicembre registrano sull'Ep "An Ideal For Living" quattro dei loro pezzi più rappresentativi ("Warsaw", "No Love Lost", "Leaders Of Men" e "Failures"). I testi di Curtis iniziano a farsi sempre più desolati e introspettivi, l'energia punk inizia a diluirsi in atmosfere più rarefatte, lugubri e opprimenti. Si inizia a parlare dei Joy Division veri e propri. Il nome "Joy Division" (che designava nei lager le prigioniere destinate all'intrattenimento sessuale degli ufficiali nazisti) viene scelto dal gruppo nel gennaio del 1978, per non creare confusione, con la band londinese chiamata "Warsaw Pakt", che aveva appena inciso un disco; Ian Curtis lo aveva scovato in un romanzo, intitolato "The House Of Dolls", al quale si era ispirato anche per le parole di "No Love Lost".
Il nome del gruppo, unito alla grafica di copertina dell'Ep appena pubblicato (opera di Bernard Sumner) e al look adottato dalla band, porta ovviamente le solite, insulse, accuse di filo-nazismo da parte della stampa "ufficiale" inglese (che, dopo la svastica dei Sex Pistols, non aspetta altro per fare a pezzi un gruppo).
Molto più serie di queste ridicole polemiche sono le prime esibizioni come "Joy Division", la prima in assoluto si tiene il 25 gennaio del 1978 al Pips Disco di Manchester, la performance nel programma televisivo "Granada Reports", condotto da Tony Wilson, e la possibilità offerta dalla Rca di incidere in studio il primo album grazie al produttore John Anderson. Le session si svolgono nel maggio 1978 e la tracklist definitiva includeva i classici del repertorio Warsaw più brani nuovi (tra i quali "Transmission" e "Shadowplay"), ma il mixaggio finale di Anderson lascia insoddisfatta la band. Il disco comunque non vedrà mai la luce: oltre al lavoro di Anderson, la band non si sente adeguatamente supportata dalla Rca, che di colpo sembra aver perso interesse nel progetto. Non se ne fa più nulla: il debut album dei Joy Division diventa un disco "fantasma", e solo nel 1994 verrà pubblicato in una compilation semi-ufficiale (ma sarebbe meglio chiamarlo per quello che è: un bootleg) che include anche i primi demo dei Warsaw. Ancora sfortuna, ma l'appuntamento con il meritato successo è solo rimandato.
È grazie a Tony Wilson, che in settembre li ospita nuovamente nel suo show televisivo, che i Joy Division trovano una label seriamente interessata alla loro musica: Wilson infatti ha appena fondato la Factory Records ("Factory" era il nome delle serate organizzate dallo stesso Wilson ogni venerdì sera nel Russell Club di Manchester: a una di queste serate i Joy Division parteciparono e collaborarono per la prima volta con il designer Peter Saville, che realizzò il loro manifesto promozionale). "A Factory Sample", compilation per il lancio della neonata label, vede due brani dei Joy Division: "Digital" e "Glass". Musicalmente ancora piuttosto legati a stilemi punk, ma sono due pezzi importantissimi perché segnano la nascita della vera e propria "simbiosi" del gruppo con il produttore Martin Hannett. Il "suo" sound unito alla propensione sempre più accentuata del gruppo verso atmosfere "dark" diventa un marchio inconfondibile: quello dei Joy Division diventa il prototipo, il riferimento obbiligato per il "post punk", coniando un suono gelido, geometrico, che sembra rimbombare nel vuoto, scandito dagli echi della chitarra e da ritmi semplici e pulsanti (e la sezione ritmica composta da Hook e Morris è forse quella che più di tutti ha saputo fare della semplicità la propria forza). Il lancio della band fuori dagli angusti confini della scena cittadina è però prematuro: il concerto londinese del dicembre 1978 è infatti un disastro, con pochissimi spettatori e i quattro totalmente spaesati e fuori forma. Curtis, inoltre, è colpito da un violento attacco convulsivo dopo il concerto. Il vocalist e paroliere del gruppo è malato di epilessia (quello che lui stesso chiamava nei suoi diari giovanili "il grande male") e grazie al Nme, che nel gennaio '79 mette Curtis in copertina, il pubblico capisce come le mosse frenetiche con cui Ian accompagnava le performance sul palco fossero non un ballo, ma un modo del cantante di esorcizzare il suo "grande male". Nonostante il tonfo londinese, comunque, l'attenzione intorno alla band comincia finalmente a crescere, il loro nome circola, il singolo "She's Lost Control" viene registrato a fine gennaio e inizia a circolare in radio grazie al leggendario dj della Bbc John Peel, che a febbraio ospita i Joy Division per la prima delle loro "Peel Sessions".
L'ufficializzazione dello status di cult-band della nascente scena "dark" avviene il 4 marzo 1979 quando al Marquee, storico locale londinese, i Joy Division suonano insieme ai Cure.
Sembra fatta; anche le sfortune, come la malattia di Ian, si tramutano in utile pubblicità, è il momento giusto per incidere finalmente il debut album. Negli Strawberry Studios di Stockport vengono registrate alcune canzoni (il singolo "She's Lost Control", ma anche pezzi leggendari come "Disorder", forte di un testo struggente e di uno degli "attacchi" più incisivi e suggestivi che si possano ricordare). Martin Hannett alla produzione a esaltare ogni singolo giro prodotto da Sumner e da Hook, la batteria di Morris che incalza con geometrica precisione, il canto robotico e al tempo stesso vibrante di Curtis. Completa il tutto la grafica spoglia e criptica di Peter Saville, che realizza per l'occasione una delle più famose copertine della storia del rock.
"Unknown Pleasures", il primo album dei Joy Division, esce nel giugno del 1979. Le radici punk del gruppo sono dilatate in dieci canzoni che formano un unico, compatto, vortice di emozioni forti e incubi angosciosi. "Disorder", "Day Of The Lords" e "New Dawn Fades" sono composizioni che sembrano materializzarsi dal nulla, e le parole di Ian Curtis si insinuano come un liquido velenoso nelle geometrie perfette della loro musica. Parole che dipingono una tragedia esistenziale senza precedenti, eppure l'enfasi melodrammatica è qualcosa di assolutamente estraneo alla musica dei Joy Division e ai testi di Curtis. Gelida è la loro musica, gelida è la voce che canta parole che esprimono la più totale solitudine, parole annichilite dalla paura e dalla sfiducia verso tutto e tutti. Ma senza mai piangersi addosso: Curtis semplicemente accetta la propria totale sconfitta come qualcosa di perfettamente logico, normale, naturale e per questo le sue parole esprimono una forza interiore devastante. È questa che dona alle canzoni dei Joy Division la capacità di abbattere totalmente le difese emozionali di chi ascolta.
La musica si limita a esprimere tutto questo con la stessa, gelida "distanza" emotiva. La portata epocale di questo album è espressa tutta in questo gioco di emozioni raggelate, quasi annullate, eppure realmente sconvolgenti. L'equilibrio raggiunto dalla formazione ha del miracoloso, e la produzione di Hannett ne esalta ogni singolo aspetto. Nessuno dei quattro prevarica mai l'altro, tutto è esattamente dove deve essere. L'album riceve finalmente critiche positive e le vendite sono più che soddisfacenti, considerando le limitatissime possibilità di una label piccola e praticamente neonata come la Factory. Ma soprattutto il disco conferisce al gruppo lo status di vera e propria cult-band. Da qui in avanti l'attività dei Joy Division si fa sempre più intensa e frenetica, e già i primi singoli che seguono l'Lp si pongono come autentici capolavori: prima (luglio '79) la memorabile "Transmission", danza incalzante e irresistibile, e poi (ottobre '79) l'apoteosi di "Atmosphere" e della sua b-side "Dead Souls": tanto celestiale e suggestiva la prima (semplicemente una delle canzoni più disarmanti e poetiche, più belle e tristi di sempre), quanto minacciosa e disturbante la seconda (entrambi i pezzi sono autentici show personali del chitarrista/tastierista Bernard Sumner), rifatta dai Nine Inch Nails nel 1994, in una cover rischiosissima e molto riuscita.
Un tour insieme ai concittadini e amici di sempre, i Buzzcocks, riscuote grande successo, come pure le due date consecutive dell'ottobre 1979 all'Apollo Theatre di Manchester, poi immortalate nel video-documento "Here Are The Young Men". Di novembre è invece la seconda "Peel Session". Un successo crescente che permette al gruppo di uscire finalmente dalla Gran Bretagna: il 1980 si apre infatti con un tour nordeuropeo (tra cui il famoso concerto al "Paradiso" di Amsterdam). Attività live intensa e scandita da consensi di pubblico e critica, che mina però la salute di Ian Curtis, che oltretutto in quel periodo vede andare in crisi il suo rapporto con la moglie Deborah Woodruffe, una crisi che ispira a Curtis un altro brano immortale: "Love Will Tear Us Apart". Il difficile stato psicologico e fisico del cantante, la sua depressione crescente si riflette sui testi e sulle atmosfere del nuovo album, che nel marzo del 1980 la band si appresta a registrare ai Britannia Row Studios di Londra, sempre insieme a Martin Hannett.
"Closer" è il titolo dell'album. Per la copertina la band sceglie una fotografia scattata da Peter Saville nel cimitero monumentale di Staglieno, in Liguria: i testi di Ian Curtis compongono un mosaico agghiacciante dei fantasmi che imprigionavano la sua mente. La musica si fa sempre più lugubre, dalla minacciosa apertura a ritmo tribale di "Atrocity Exhibition" fino alla conclusiva "Decades". Curtis osserva e riflette, mette a nudo i suoi pensieri con una schiettezza tanto più raggelante perché tutto, dalla sua voce alla musica, è ancora più distante, rallentato e lineare che nel precedente album. Sono canzoni "assolute", sono canzoni che compongono un viaggio senza ritorno, canzoni che dietro la loro calma apparente nascondono una sofferenza psicologica insopportabile. È la sofferenza di Ian Curtis, e il modo in cui riesce a mettere in parole una tale sofferenza è realmente commovente: Curtis non interpreta canzoni, Curtis si confessa con il cuore in mano, racconta ai suoi ascoltatori che cosa ha in mente di fare e i motivi che lo spingono a farlo. Curtis rende perfettamente comprensibile il suo tormento, rende "universale" la sua disperazione, ci lascia soli davanti alla sua enorme forza interiore, quella forza che riusciva a esprimere solo attraverso la sua arte. Ian Curtis mette in scena il suo epitaffio, con tanto di marcia funebre ("The Eternal") e parla con la serenità di chi ha già preso la sua decisione, anzi di chi ha già messo in atto la sua decisione. Osserva e riflette, osserva sé stesso e gli altri, osserva la sua incompatibilità con la vita, osserva la sua totale sconfitta. Osserva e riflette, e trae la conclusione che per lui è più logica e naturale. E i suoi compagni lo assecondano con una compostezza che fa male al cuore per quanto è perfetta. La perfezione di "Heart And Soul" e "The Eternal", di "A Means To An End", di "Passover" e di "24 hours". "Heart and soul, one will burn" e "This is the crisis I knew had to come, destroying the bilance I'd kept", dice Ian Curtis.
E, a un passo dalla consacrazione (si preparava un tour americano, si trattava per un contratto con una major come la Warner), Ian getta la spugna: a inizio aprile tre concerti londinesi di fila sono troppo per le sue condizioni di salute, e nel terzo di questi concerti il cantante ha una crisi epilettica sul palco. Il 7 aprile, il giorno prima di un altro concerto è messo ko da una overdose, e nonostante tutto la sera dopo sale sul palco. Ma non si può andare avanti così e la band è costretta a prendersi una pausa per consentire a Ian di ristabilirsi: nel frattempo girano il video di "Love Will Tear Us Apart" e il 2 maggio suonano a Birmingham un live (poi pubblicato col titolo "Still"), contenente un brano inedito, "Ceremony".
Ma Ian non ha la minima intenzione di ristabilirsi: il 20 maggio la band avrebbe iniziato il suo tour americano; il 18 maggio Ian Curtis si suicida impiccandosi nella sua casa di Macclesfield, a 24 anni non ancora compiuti. Sin dall'inizio della loro avventura, i quattro Joy Division avevano stipulato tra di loro un tacito accordo: se uno di loro avesse abbandonato la band, gli altri non dovevano più chiamarsi Joy Division, ma "New Order". Evidente come ognuno dei quattro fosse fondamentale, come se la loro fosse una autentica "unione che fa la forza", una alchimia irripetibile. E all'indomani della sua morte i tre compagni di Ian rispettano l'accordo e nel 1981 pubblicano come New Order, "Movement", ma è giusto parlarne come del terzo disco dei Joy Division. Prodotto da Hannett, vede un uso più marcato dei sintetizzatori e delle tastiere (sarà questa la strada scelta dai New Order già dal disco successivo, che li porterà a diventare uno dei gruppi-simbolo del synth-pop, riscuotendo un grande successo). Alla voce, Sumner e Hook sembrano voler tentare di evocare il fantasma di Ian. Le musiche sono quelle dei Joy Division, le atmosfere sono quelle dei Joy Division, se possibile ancora più spettrali. Il disco è come bloccato, e volutamente, perché manca Ian, perché si tratta di una perdita irreparabile, perché i tre ex Joy Division sanno bene che il "nuovo ordine" deve ripartire dalle ceneri del vecchio. E "Movement" fa parte a tutti gli effetti della storia dei Joy Division perché è l'estremo saluto a Ian Curtis, il modo scelto dai loro compagni di congedarsi dalla sua memoria, per poter voltare pagina e continuare su una strada diversa, giustamente diversa, senza di lui. Ma la storia dei Joy Division finisce qui.
di Mauro Roma
from Onda Rock
Discografia:
EP
1978 - An Ideal for Living (Enigma Records)
Albums
1979 - Unknown Pleasures (Factory)
1980 - Closer (Factory)
Compilations
1980 - Still (inediti studio/live) (Factory)
1988 - Substance (compilation) (Factory)
1990 - The Peel Sessions (Strange Fruit)
Singles
1980 - Love Will Tear Us Apart (Factory)
1980 - Atmosphere (Factory)
1979 - Transmission (Factory)
Da segnalare il film "Control" del 2007 di Anton Corbijn, che narra la vita del leader dei Joy Division, Ian Curtis, interpretato dall'attore Sam Riley; a cui si deve una lode per avermi fatto conoscere il grande Ian e la sua band.
Dedicato ai quarantenni come me!:)
RispondiEliminaGrazie per questo ricordo di una grande band durata troppo poco...
Ottimo post, stasera vado a rispolverare qualche cd, sigh, vero, ci avviciniamo ai 40...
RispondiEliminavolevo segnalarti, a mio avviso molto superiore a Control, un altro film che parla dei Joy Division, ma non solo di loro: 24 hours party people (di Winterbottom), che racconta della scena di Manchester attraverso i decenni, merita "visione".
grazie tante della segnalazione... mi metto subito alla sua ricerca...
RispondiEliminaa presto!!!