sabato 14 novembre 2009

PEARL JAM

La storia dei Pearl Jam parte da lontano, esattamente dal 1984, quando il bassista Jeff Ament, insieme con Mark Arm (futuro leader dei Mudhoney), forma i Green River, uno dei gruppi che maggiormente hanno influenzato il rock di Seattle degli anni '80, ai quali si aggiunge, l'anno seguente, il chitarrista Stone Gossard. Nel 1987 i Green River si sciolgono, e dalle loro ceneri prendono vita i Mother Love Bone, composti da Andy Wood, Stone Gossard, Jeff Ament, Bruce Fairweather e Greg Gilmore. Dopo l'Ep "Shine" del 1989, il gruppo ha in preparazione l'album di esordio, "Apple", ma il 16 marzo 1990 muore per overdose di eroina il cantante Andy Wood. Il disco uscirà ugualmente postumo per la Polydor, ma, nonostante il contratto con una major, i componenti della band, distrutti dal tragico evento, decidono di abbandonare il progetto. Dopo alcune esperienze musicali poco impegnative, Ament si ritrova con Gossard, e i due, insieme al chitarrista Mike McCready (da poco conosciuto) e a Matt Cameron (il batterista dei Soundgarden), incidono un nastro contenente il materiale che di lì a poco sarebbe diventato la musica dei Pearl Jam. Nel frattempo Dave Krusen rimpiazza Cameron alla batteria e il demo finisce nelle mani di Jack Irons, ex drummer dei Red Hot Chili Peppers, il quale lo consegna a Eddie Vedder, un amico che lavora a una pompa di benzina a San Diego e passa il tempo libero facendo surf e cantando nei Bad Radio, una band locale.
Nel giro di pochi giorni Vedder scrive le parti vocali e i testi dei brani (quelli che diventeranno "Alive", "Footsteps" e "Once") arrivatigli da Seattle, e nell'arco di pochissimo tempo, dopo la reazione entusiasta dei mittenti, parte per la città del grunge, dove, altrettanto celermente, avviene la stesura dei brani di "Ten", il primo album del gruppo. Inizialmente la band decide di chiamarsi Mookie Blaylock, come un famoso giocatore di basket, ma quasi subito il nome si trasforma in Pearl Jam, in riferimento a una particolare marmellata allucinogena che la nonna di Vedder (Pearl, appunto) preparava con il peyote per il marito indiano, secondo i canoni e la tradizione dei popoli precolombiani (il titolo dell'album "Ten" richiama, tuttavia, il primo nome del gruppo, essendo dieci il numero di maglia con cui giocava Blaylock nei New Jersey Nets).
Prima dell'esordio vero e proprio dei Pearl Jam, nel 1990 Vedder, Ament, McCready e Gossard prendono parte, su invito di Chris Cornell e Matt Camenron dei Soundgarden al progetto Temple Of The Dog, concepito in memoria dello scomparso Andy Wood. Inoltre i Pearl Jam partecipano, nel 1991, sia come comparse che come autori della colonna sonora (insieme, tra gli altri, a Soundgarden, Alice In Chains, Mudhoney, Screaming Trees e Smashing Pumpkins), al film "Singles, l'amore è un gioco" di Cameron Crowe, una pellicola sui "modesti patemi della gioventù di Seattle, a metà strada tra il grunge e lo yuppismo riveduto", come è stata autorevolmente definita.
Tra il marzo e l'aprile dello stesso anno vengono effettuate le riprese di "Ten", il primo disco dei Pearl Jam (Krusen lascia il gruppo poco tempo dopo, rimpiazzato prima da Matt Chamberlain e poi definitivamente da Dave Abruzzese). L'album, a differenza della maggior parte di quelli dei loro "cugini grunge" (che hanno reso celebre l'etichetta indipendente Sub Pop) esce per la Epic (Sony), per via dei contatti che Ament e Gossard hanno mantenuto con Michael Goldstone (prima Polydor, poi passato alla Sony) dai tempi dei Mother Love Bone.
Il disco, probabilmente il migliore dei Pearl Jam insieme a "Vs", potrebbe essere definito un capolavoro del rock reazionario, tante sono le tracce evidenziabili delle influenze che la band ha assimilato dai musicisti del passato: il drumming pesante, alla maniera di John Bonam, i soli di chitarra di hendrixiana memoria, la voce di Vedder, che suona come una sorta di riedizione anni '90 di quella di Jim Morrison (non a caso Vedder sarà invitato dai superstiti Doors nel 1993 per interpretare, dal vivo, "Roadhose blues", "Light my fire" e "Break on throught"). Non solo: anche gli Who (uno dei gruppi preferiti di Vedder, dei quali dal vivo spesso il gruppo esegue svariate cover) e il Neil Young più "elettrico", considerato giustamente un autore grunge "ante litteram", fanno sentire la loro presenza nel sound della band. Il giornalista Allan Jones, riferendosi a "Oceans", il brano più delicato e malinconico del disco, trova nella voce di Vedder addirittura tracce del lirismo di Tim Buckley, e immagina la song come l'ideale proseguimento di "Starsailor". Forse un accostamento un po' azzardato, ma non completamente campato in aria.
Indubbiamente l'esordio dei Pearl Jam si discosta in maniera massiccia dai lavori degli altri gruppi di Seattle: nulla a che vedere con la furia punk dei Nirvana o con l'heavy suond di Alice In Chains e Soundgarden, per citare le band più rappresentative. Si può affermare che i Pearl Jam sono il lato hard rock seventies (ma non solo, nella loro musica sono rintracciabili anche "citazioni" di artisti come U2 e Rem) del fenomeno grunge, che, d'altronde, è un movimento che si contraddistingue principalmente per la sua origine geografica e per il malessere di fondo, tipico della disillusione post anni '70, che esprimono i suoi adepti, più che per le caratteristiche formali della musica che ne è l'espressione.
Tutto ciò non toglie meriti all'esordio dei Pearl Jam: infatti, pur non presentando grandi innovazioni formali o sperimentazioni, "Ten" è un disco che, tramite brani rock ottimamente concepiti, sa trasmettere, anche nei momenti più hard, proprio l'atmosfera malinconica e disillusa, a volte quasi depressa, tipica della poetica grunge. Anche per quanto riguarda i testi di Vedder, vale lo stesso discorso. Seppur a volte vi siano riferimenti a vicende realmente accadute ("Jeremy" e "Why go"), e quindi emerga una sorta di impegno sociale della band, le denunce delle liriche dei Pearl Jam sembrano fini a se stesse, solo una amara constatazione dei fatti seguita da un timido accenno di ribellione, ma fondamentalmente sono nichiliste ed espressione di impotenza e rassegnazione. Il discorso è ancora più accentuato quando oggetto dei versi di Vedder sono riflessioni più intimiste, spesso ermetiche, o storie che in qualche modo traggono spunto dalle sue travagliate vicende adolescenziali (la celebre "Alive", per esempio).
"Ten" catapulta i Pearl Jam nell'olimpo del rock nel giro di pochi mesi, con un numero di copie vendute davvero notevole, anche in considerazione del fatto che la sua uscita coincide (ma qual è la causa e quale l'effetto?) con l'esplosione del grunge, e segue di poco la pubblicazione di "Nevermind" dei "cuginetti" Nirvana.
Nella primavera del 1993 i Pearl Jam tornano in studio per la registrazione del loro secondo lavoro, "Vs". Con il nuovo produttore Brendan O'Brian (che ha lavorato, tra gli altri, con Aerosmith, Stone Temple Pilots, Red Hot Chili Peppers e Black Crows), cambia l'approccio con lo studio di registrazione: i brani vengono suonati praticamente live, con il minor numero di takes possibili e sovraincisioni ridotte all'osso. Il risultato è evidente: "Vs" suona molto più crudo e vigoroso, meno artefatto. Nei brani più pesanti ("Go", "Animal", "Blood") continuano a sentirsi le influenze dei guru del rock vecchio stampo (tra cui, oltre ai soliti Led Zeppelin e Hendrix, anche Stooges e MC5), ma compaiono anche alcune ballate che richiamano in modo piuttosto evidente i Rem. ("Daughter", "Ederly woman behind the counter in a small town"). L'album (inizialmente pubblicato solo in vinile) vende, dal momento della prima stampa in CD, un milione di copie in una settimana.
"Vitalogy" (1994) è il terzo album del gruppo ed è la logica continuazione di "Vs", essendo identica la formula utilizzata per la sua produzione. Per un verso è il disco più heavy dei Pearl Jam ("Last exit", "Not for you", "Spin the black circe", "Whipping"), per l'altro presenta alcune ballate nello stile di quelle contenute nell'album precedente ("Nothingman", "Better man", "Immortality"). All'interno di "Vitalogy" c'è spazio anche per alcuni momenti "sperimentali", come "Pray, to", "Bugs" (in cui Vedder si cimenta con la fisarmonica), ma soprattutto "Hey foxymophandlemama, that's me", un brano di otto minuti formato da un delirante collage di voci e rumori, decisamente il momento più psichedelico della carriera dei Pearl Jam. La pubblicazione dell'album coincide con l'abbandono del gruppo da parte del batterista Dave Abruzzese, poi sostituito dal già citato Jack Irons, ex Red Hot Chili Peppers.
Nel 1995 i Pearl Jam registrano insieme a Neil Young, con il quale hanno già suonato dal vivo svariate volte, "Mirror ball". Il disco, tuttavia, esce a nome del solo canadese, per problematiche legate alla burocrazia delle case discografiche e Vedder, McCready, Ament, Gossard e Irons vengono citati solo come musicisti di accompagnamento all'interno del book dell'album, senza che si faccia menzione del nome Pearl Jam. "Mirror ball" solo è un disco per appassionati di Neil Young e Pearl Jam.
"No code", il capitolo successivo della discografia della band, è dell'anno successivo e si distingue per il tentativo dei Pearl Jam di scrollarsi di dosso il sound tipico che li ha caratterizzati fino a questo momento. Ma il risultato è un lavoro a volte troppo frammentario, privo di amalgama. Si può dire che è un disco riuscito a metà, con, di volta in volta, strizzate d'occhio al punk ("Lukin"), al country rock à la Neil Young, con il quale non a caso i Pearl Jam hanno lavorato l'anno precedente ("Smile", "Red mosquito"), addirittura a una sorta di glam rock britannico ("Mankind", composta e cantata da Stone Gossard). D'altro canto l'album contiene alcune buone composizioni, una su tutte la bellissima "Present tense", uno dei massimi vertici artistici raggiunti dai Pearl Jam in tutta la loro carriera, un concentrato di malinconia, delicatezza, disperazione e poesia.
Il disco successivo, "Yield", è datato 1998 e segna un ritorno al sound più classico del gruppo, con forse una cura diversa per i suoni, a tratti più "puliti", più "moderni" del solito. Da menzionare, quali brani degni di nota, "Brain of J.", "Faithfull", "Pilate", "Do the evolution" e "M.F.C.". E' invece imbarazzante la somiglianza esistente tra il singolo "Given' to fly" e "Going to California" dei Led Zeppelin.
"Yield" è l'ultimo album dei Pearl Jam che valga la pena prendere in considerazione. Se è vero che la band non ha mai osato più di tanto per rinnovare il suo sound, che già di per sé non trabocca di originalità, è altrettanto indiscutibile che fino a questo momento della loro carriera i cinque paladini del grunge avevano saputo proporre dell'ottimo rock, soprattutto perché ispirati in fase compositiva. Venuta meno tale ispirazione, con il passare degli anni, i Pearl Jam hanno gradualmente sempre più scimmiottato se stessi, mantenendo la forma della loro musica ma perdendone la sostanza. Sostanza che è del tutto svanita con l'ultimo disco menzionato. I lavori successivi, a parte "Live on two legs", un disco nato dalle registrazioni del tour mondiale del 1998 (a partire dal quale Matt Cameron, ex Soundgarden, prende il posto di Irons alla batteria), non sono altro ciò che uno (in maniera del tutto disillusa) poteva aspettarsi dalla band ed è puntualmente arrivato.
"Binaural", uscito nel 2000, e "Riot act" del 2002, due album assolutamente mainstream, nulla aggiungono alla storia dei Pearl Jam, se non un rinnovato e più esplicito (ma non nuovo) impegno politico della band, che emerge dalle liriche dell'ultimo loro capitolo ("Bu$hleaguer" su tutte).
Da ricordare la particolare trovata di fare uscire, alla fine del tour mondiale che ha seguito "Binaural", tutti i concerti integrali tenuti dal gruppo in tale arco di tempo, come fossero una sorta di bootleg ufficiali. D'altronde i Pearl Jam si sono sempre saputi vendere bene e hanno cercato di rendere originale ogni loro uscita, a partire dalla cura e dal particolare formato delle copertine dei loro dischi e dalle pubblicazioni "a sorpresa" degli album (come avvenne per "Vitalogy"), per finire con l'assolutamente lodevole lotta con la Ticketmaster, l'agenzia che gestisce in modo quasi monopolistico l'organizzazione degli spettacoli musicali che si tengono negli Stati Uniti, contro il prezzo elevato dei biglietti dei concerti, che costò alla band l'annullamento di un intero tour.
Tra tragiche morti come Andy Wood, Kurt Cobain e Layne Staley, e scioglimenti inevitabili come quello dei Soundgarden, i Pearl Jam sono rimasti, insieme ai Mudhoney, gli unici testimoni del movimento grunge, nato, cresciuto (o meglio bruciato) e spirato a Seattle a cavallo tra gli anni 80 e gli anni 90.
Nel 2006 esce l'omonimo "Pearl Jam". Niente orientalismi stavolta, niente spoken-word o stravaganze sperimentali alla Tom Waits: al loro posto un sound platealmente chitarristico, sanguigno, energico, vitale, feroce, abrasivo. La posta in gioco simbolica è il futuro dell’America “post 11-09”, la vittoria “dimezzata” in Iraq e le troppe scelte sbagliate fatte sinora dall’amministrazione.
Possiamo dividere arbitrariamente l’album in una prima parte dedita al ritorno in auge delle atmosfere di "Ten" e "Versus", con le elettriche sferraglianti in prima linea, e una seconda più eclettica, in cui spesso la rabbia si stempera in arrangiamenti e interpretazioni differenti. Del primo ciclo fa parte il tris d’apertura: “Life Wasted”, “Worldwide Suicide” e “Comatose” sono calci nel culo selvaggi, antagonismo punk sorretto da una possente e compatta ritmica. “Severed Hand” e “Marker In The Sand” dimostrano invece di saper cambiare le carte in tavola: la prima illude nella parte iniziale (con i nastri al contrario), ma è un falso allarme, perché il riff di chitarra è in agguato e muterà ancora, tra wah-wah e contromelodie di McCready; la seconda stravolge l’ostinato tribale della batteria e apre nel ritornello una finestra melodica irresistibilmente “innodica”. Deliziosa, com’è del resto la successiva “Parachutes”, pop acustico sospeso tra Beatles ed Elliott Smith, morbida e soffusa, con un organo hammond di sottofondo.
La seconda tranche esordisce con due episodi trascurabili (“Unemployable” e “Big Wave”, rispettivamente mid-tempo alla Rem e hardcore sfrenato, entrambe da rispedire al mittente) per poi cedere alla ballad “Gone”, che ha struttura affine alla mitica “Betterman”: partenza solitaria con la chitarra arpeggiata e cavalcata con il gruppo al completo. Dal vivo promette faville, su disco non decolla facilmente. Ascoltato il mini-tributo a "Mirror Ball" di “Wasted Reprise” (cinquanta secondi di organo a canne) e l’altro filler (“Army Riserve”) l’album volge al termine: il congedo è affidato a “Come Back”, vibrante di passione soul dedicata a un’ipotetica compagna scomparsa (emotivamente si muove sulla falsariga di “Black”), e quindi “Inside Job”, lungo e maestoso rock elettro/acustico punteggiato di pianoforte, con un bel crescendo che si protrae per ben sette minuti.
L’“avocado album”, come è stato ribattezzato a causa della copertina, in cui il frutto esotico fa bella mostra di sé su sfondo azzurro, non sarà il risultato più esaltante raggiunto sino ad oggi, ma rimane comunque prova discografica più che sufficiente, superiore per spessore effettivo al confuso e deludente "Riot Act" e al debole "Binaural".
Nel frattempo Eddie Wedder si concede un riuscitissimo intermezzo solista, firmando la colonna sonora di "Into The Wild", pluripremiato film di Sean Penn, tratto dal bestseller omonimo di Jon Krakauer sull'esperienza di Christopher McCandless.
I Pearl Jam sono ormai un gruppo vecchio. Anzi, per vecchi. Come direbbe Cormac McCarthy. Vecchi ragazzi (degli anni 90), s'intende. Ma pur sempre invecchiati. E non bene. Ma neanche tanto male. Così così, diciamo. Anche per questo, oltre che per un fisiologico calo dell'ispirazione dopo quasi vent'anni di militanza, i loro ultimi lavori palesano uno standard abbastanza immobilistico, manierato, conservatore. Perché hanno principalmente due motivi d'essere: ospitare i vecchi fan alloggiandoli in sonorità datate e rassicuranti e immettere nuovo carburante da incendiare nel motore inesausto delle loro tournée mondiali, dimensione nella quale il gruppo riesce ancora a dare il meglio di se, giustificando nel tempo la propria costanza e linearità.
"Backspacer" (2009) denota una certa continuità rispetto all'approccio ruvido e diretto del predecessore ma, smaltita la sbornia d'indignazione civile contro l'amministrazione Bush, i toni si fanno meno accesi e vibranti, le gradazioni più soft, l'umore generale più disteso ed edonista. E' rock classico con qualche escrudescenza punk, qualche anabolizzazione hard, la solita predisposizione al pathos, qualche episodio cantautorale.
L'opener "Gonna See My Friends" con quel riff stentoreo e familiare è una botta street-rock, magari un po' triviale ma adrenalinica. Poi anche "Got Some", "Johnny Guitar" e "Supersonic" insistono e sviluppano, con risultati non proprio esaltanti, quest'ebbrezza rock'n'roll da "American Graffiti". Sempre meglio di "The Fixer", comunque, spuntatissimo singolo con fregole sintetiche vagamente new wave (!?).
La scrittura si risolleva quando la palla torna di nuovo tra le mani di Vedder che pennella due acquerelli acustici niente male - la bucolica "Just Breathe" e la sofferta "The End" - e in quelle di McCready con la fluente vena soft-rock di "Force Of Nature". Per il resto, niente di nuovo sul fronte occidentale: "Amongst The Waves" e "Unthought" sono strade che gli abbiamo già visto percorrere, mentre "Speed Of Sound", un accorato mid-tempo col piano e l'organo in evidenza e le chitarre in sordina, punta (quasi) tutto sullo charme dolente e carezzevole del cantato.

di Paolo Avico

Discografia:

Albums
1991 - Ten
1993 - Vs.
1994 - Vitalogy
1996 - No Code
1998 - Yield
2000 - Binaural
2002 - Riot Act
2006 - Pearl Jam
2009 - Backspacer

EP
2006 - Live at Easy Street

Lives
1998 - Live on Two Legs
2004 - Live at Benaroya Hall
2007 - Live at the Gorge 05/06

Compilations
2003 - Lost Dogs (raccolta di B-side)
2004 - Rearviewmirror: Greatest Hits 1991-2003

2 commenti:

  1. Grande gruppo i miei album preferiti "Ten" "Yield"; bravo per la musica di sottofondo ;)

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  2. grazie Train!!!
    ...i miei preferiti sono "Ten" "Vs." e "Vitalogy"...

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